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venerdì 11 febbraio 2011

La "Casta" dei consiglieri regionali

Unico consigliere, stipendio più alto, benefit e rimborsi: i 60 monogruppi costano 30 milioni di euro


Single è meglio, almeno in politica. Passata la tempesta d’indignazione contro la Casta, nei Consigli regionali eletti appena dieci mesi fa sono rispuntati come funghi sessanta «monogruppi». Creature tipicamente italiche con un solo componente, naturalmente autoproclamatosi «capogruppo di se stesso», che tra stipendio maggiorato, benefit, staff e rimborsi vari ci costa centomila euro l’anno. Totale dei sessanta monogruppi per tutta la legislatura: 30 milioni di euro.

Come direbbe Totò, è la somma che fa il totale: indennità addizionale per la gravosità del compito di coordinare il gruppo, cioè se stesso (un migliaio di euro netti al mese, oltre allo stipendio che arriva a 15 mila euro); uffici, computer, telefoni, auto e accessori vari; segretari e portavoce da assumere discrezionalmente (le regole variano da Regione a Regione, ma si arriva a sette persone con stipendi da 1000 a 3 mila euro circa); budget per «spese di funzionamento» (in genere circa 70 mila euro l’anno). Euro più euro meno, ogni monogruppo pesa sui contribuenti da 100 mila a 150 mila l’anno, da 500 mila a 750 mila nella legislatura. Un gruzzolo che costituisce un formidabile incentivo a mettersi in proprio.

La scoperta di questi organismi unicellulari avvenne qualche anno fa in Calabria, quando una leggina bipartisan garantì prebende sardanapalesche (da un autista a disposizione a sontuosi uffici sparsi in tutta Reggio Calabria), moltiplicando in breve i monogruppi: 12 su 19 gruppi e 40 consiglieri. Un record che fece indignare Francesco Fortugno, allora semplice consigliere, poi vicepresidente del Consiglio prima di essere ammazzato dalla ’ndrangheta a Locri, il 16 ottobre 2005. Il 1˚ marzo 2004 Fortugno depositò una proposta di modifica del regolamento che cominciava così: «La proliferazione dei monogruppi è diventata una vera anomalia. Ciò comporta sprechi enormi di risorse». Quindi li elencava, proponendo di abolire i gruppi con meno di tre consiglieri «fiducioso che prevalgano i colleghi di buona volontà, perché credo che questa situazione per certi versi scandalosa non possa rimanere così più a lungo. I monogruppi sono una brutta pagina, che va cancellata al più presto».

Additata come paradiso dei privilegi della nomenclatura, la Calabria si è emendata. Qualche tempo dopo l’esplosione dello scandalo, fu approvata la stretta proposta da Fortugno. I monogruppi, già ridotti a tre nel 2008, oggi sono quasi scomparsi: sopravvive solo la Federazione della Sinistra. Pulizia ancor più energica in Campania, dove la modifica dei requisiti per la costituzione di un gruppo richiede ora almeno cinque componenti (tre se già presente in parlamento). Risultato: monogruppi azzerati. Limiti analoghi a statuto speciale, con identici risultati.

Bene, ma le altre? In quelle a statuto ordinario, nel 2005 si contavano 57 monogruppi, due anni dopo erano diventati 75 su 199 gruppi, il 37,7 per cento. E, a scanso di luoghi comuni, il boom si concentrava nel Nord, con 36 monogruppi (10 solo in Veneto!). Imbarazzati, partiti e monogruppi promisero: mai più. Fioccavano mea culpa e disegni di legge draconiani. Fino alla campagna elettorale dello scorso anno, quando la «riduzione dei costi della politica», i peana al bipartitismo e gli anatemi contro la «frammentazione del sistema politico» risuonavano come un mantra in comizi e dibattiti tv.

Promessa mantenuta? Macché. Oggi i consiglieri-single, nelle Regioni a statuto ordinario, sono 60 su 157 gruppi, il 38,2 per cento. E se Liguria, Puglia, Emilia Romagna, Toscana, Campania e Calabria (oltre a quelle a statuto speciale) si comportano decisamente meglio, nelle altre la corsa al monogruppo impazza. In Piemonte (7 su 13), Molise (8 su 14), Basilicata (7 su 11), Abruzzo (6 su 11), Marche (7 su 13) sono addirittura la maggioranza assoluta. Con alcune bizzarrie. In Piemonte, l’ex presidente Mercedes Bresso ha costituito il monogruppo «Uniti per Bresso», staccato dall’altro monogruppo «Insieme per Bresso», che poi era la lista civica che la sosteneva. Uniti? Insieme? Figurati. Nel Lazio, Antonio Paris, eletto nella lista Polverini, si ritrova capogruppo di un gruppo misto che di misto non ha nulla, visto che è da solo come in Veneto Diego Bottacin, eletto nel Pd, e in Umbria Francesco Zaffini, il più votato (ma evidentemente incompreso) nel Pdl.

Ma il capolavoro si compie nelle Marche, dove Gian Mario Spacca (Pd), oltre a fare dal 2005 il presidente della giunta, ha trovato il tempo di costituire in Consiglio un monogruppo. Con inevitabile autointitolazione: «Gian Mario Spacca Presidente». Uno e trino: consigliere, capogruppo, presidente.

Fonte:
http://www.saturnonotizie.it/news/leggi/30904/La-Casta-dei-consiglieri-regionali.html

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