Cerca nel blog

sabato 18 dicembre 2010

Lavoro ICT 2010-2011: stipendi, contratti, formazione e professionalità richieste in Italia.

Come si evolve la crisi tra le aziende IT in italia? Chi sono i lavoratori all'interno del panorama IT che guadagnano di più? Gli stipendi aumentano o diminuiscono? Ecco il commento sui dati raccolti da un'analisi di Assintel.La crisi degli ultimi anni ha avuto come primo effetto immediato la crisi occupazionale in Italia, che ha toccato ogni settore e provocato tagli al personale di ogni tipo di impresa. Uno studio promosso da Assintel ha messo in evidenza i profili professionali ‘privilegiati’ nell’IT e la situazione per quanto riguarda retribuzioni e formazioni.

Dagli ultimi dati 2010 dell’Osservatorio dei profili professionali nell’IT promosso da Assintel (Associazione Nazionale Imprese Servizi Informatica Telematica Robotica Eidomatica) è emersa una situazione di crisi generalizzata. Fabio Rizzotto, research director IT di IDC Italia, ha spiegato che “Il mercato è guidato da una serie di trasformazioni e relativamente alle sue forme innovative stenta ancora a trovare un riavvio. Le innovazioni, che pur esistono, non riescono a fare sistema. Si parla di cloud, mobile, ma sono tutte trasformazioni che devono però confrontarsi con logiche tradizionali”.

L’analisi sul settore dell’IT italiano, evidenzia come molte imprese siano impegnate nella ricollocazione delle figure e come sia anche aumentato il popolo delle partite IVA. Sul fronte occupazione, invece, nel 2010 si è assistito al perdurare di una situazione di sofferenza della componente lavoro dipendente sul totale addetti (-0,9%) e a una crescita di quella flessibile (+1,4%) e delle partite IVA (+0,8%).

Giorgio Rapari, Presidente di Assintel, ha effettivamente spiegato il fatto che “Ci troviamo di fronte ad una sfida epocale: essere capaci di autoriformare il contratto di lavoro per dare risposte utili alle imprese e ai lavoratori o altrimenti si rischia di rimanere ancorati a logiche che non rappresentano culturalmente i nuovi settori legati all’innovazione e alla tecnologia”. Mentre, dunque, ci si chiede come poter fare per gestire al meglio le competenze ed inquadrarle in maniera tale che esse, in ogni singolo individuo, diventino una forza di crescita e sviluppo per l’azienda c’è anche da dire che calano gli investimenti in formazione del 4,4% e solo il 22% delle imprese prevedono percorsi di valutazione del personale, favorendo una sorta di valorizzazione delle risorse.

Ciò significa che formazione e percorsi di crescita sono alcune delle maggiori criticità rilevate all’interno del sistema impresa, tra tagli indiscriminati e la mancanza di una cultura di valorizzazione dei talenti. Per quanto riguarda le retribuzioni, in Italia si è registrata una crescita media contenuta sul lordo che conferma il blocco di molte imprese su questo versante. Le retribuzioni nelle aziende IT rimangono ferme per tutto il 2010 nel 90% del campione analizzato da IDC, con valori medi di crescita inferiori al +1,5% (sfioravano il +3% lo scorso anno), dovuti quasi esclusivamente agli aumenti programmati dai Contratti Collettivi di Categoria.

Le peggiori performance spettano ai lavoratori atipici (+1,1%), le migliori ai I livelli del Terziario (+1,6%). Nella categoria impiegati è il key account manager con 35.116 euro all’anno ad aggiudicarsi il primo posto per stipendio, mentre il web developer/master con 22.850 euro è nelle ultime posizioni. Meglio per quanto riguarda le retribuzioni dei quadri, dai responsabili commerciali IT, che guadagnano 57.459 euro anni, agli analisti coordinatori (46.150 euro). Infine, tra i dirigenti la busta paga migliore quella degli IT manager (102.727 euro) mentre quella peggiore è del Project Leader (75.460 euro). Continua per il resto la flessione delle tariffe professionali IT: record negativi per i programmatori (-3%) e i capi progetto (-5%). Ricordiamo, inoltre, che le retribuzioni sono diverse a seconda dell’area geografica considerata: gli impiegati del Nord percepiscono, infatti, stipendi in media superiori del 19% rispetto alle regioni meridionali e insulari, mentre guadagna di più chi lavora in aziende di più grandi dimensioni.

Fonte:
http://www.businessonline.it/3/LavoroeFisco/2770/Lavoro_ICT_2010-2011_stipendi_contratti_formazione_e_professionalit%C3%A0_richieste_in_Italia.html

giovedì 16 dicembre 2010

Italia e lavoro: Repubblica di collaboratori

Nella terza edizione dell'Osservatorio Assintel crescono forme contrattuali "più flessibili" a discapito delle assunzioni. Fra retribuzioni congelate e formazione in caduta libera, se la passano peggio donne, programmatori e capi progetto.

Antonella Camisasca

15 Dicembre 2010

Così com'è scritto, l'incipit dell'articolo 1 della Costituzione italiana lascia ampio spazio all'interpretazione. Quando recita che “L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” non specifica con quale tipo di contratto. Peccato che, prestato ascolto ai risultati della terza edizione dell'Osservatorio dei profili professionali nell'It, promossa da Assintel, il trend che ne emerge parla di uno spostamento, sempre più evidente, verso forme contrattuali giudicate “più flessibili” ma certamente meno stabili, come contratti a progetto, per partita Iva e stage, a discapito di assunzioni a tempo indeterminato.

Ma l'aspetto della gestione delle risorse umane è solo uno dei temi trattati nell'Osservatorio promosso dall'Associazione nazionale imprese Ict, in collaborazione con Aica, Gi Group, Idc, itSmf e Od&m, e con il contributo della Camera di Commercio di Milano. Tant'è che, a far infervorare il presidente Assintel, Giorgio Rapari (nella foto), che al posto di “risorse umane”, preferisce parlare di “talenti”, è ben altro. «Considerando che la produzione di conoscenza innovativa è il vero asset dell'industria Ict - è la sua instancabile denuncia -, la corsa al ribasso delle tariffe sta minando il concetto stesso di qualità dell'offerta».

Peccato che, dal punto di vista dell'impatto della crisi economica sulle risorse umane, lo spaccato Assintel aggiornato al 2010 parla di retribuzioni che, nel 90% del campione indagato da Idc, risultano ferme e con valori medi di crescita che, se nel 2009, sfioravano il 3%, ora non superano l'1,5%. Ma non solo. Nelle 181 aziende che hanno contribuito all'indagine (90% indipendenti di medio-piccole dimensioni, 6% appartenenti a un gruppo nazionale e 4% a una multinazionale estera), la formazione è ulteriormente crollata del -4,4% risultando, nel 77% delle aziende sotto i 20 dipendenti, del tutto assente.

In tal senso, «tagliare la formazione, procrastinare lo sviluppo di processi strutturati di valutazione del personale, evitare di progettare percorsi di carriera e scegliere di non puntare sull'evoluzione delle conoscenze, vuol dire bruciare i propri asset strategici» ammonisce Rapari. Ma tant'è. Come ha fatto notare il research director It di Idc Italia, Fabio Rizzotto, speculare all'erosione occupazionale delle forme contrattuali tradizionali e alla crescita dei contratti atipici (passati dal 14% del 2009 all'attuale 22% dell'intero campione), le ditte individuali sono cresciute del 2,4% a fronte del rallentamento riportato dalle società di capitale (-0,9%) e della moria delle società di persone (-2,4%).

In un siffatto quadro, sono davvero pochi a stupirsi di come, ancora una volta, anche nelle aziende It si confermino retribuzioni sistematicamente inferiori per le donne. Una rassegnazione che diventa sdegno, quando Rizzotto parla di «un divario del 22% per i dirigenti, del 7% per i quadri e del 6% per i dipendenti» e di un «calo superiore alla media dei contratti da lavoro dipendente (-1,1%) a fronte di una più nutrita crescita (3,9%) degli inquadramenti atipici, che coprono il 27% del campione considerato». In linea, ma “ammortizzato” dal diverso costo della vita, il divario negli stipendi medi fra Nord e Sud.

Così, se nella classifica stilata da Simonetta Cavasin, general manager di Od&m, Key account manager, responsabili commerciali It e direttori dei sistemi informativi registrano - rispettivamente nelle categorie impiegati, quadri e dirigenti -, le migliori performance, a fare le spese dell'ulteriore flessione riportata anche nel 2010, rispetto all'andamento delle tariffe professionali, sono soprattutto figure di basso profilo come programmatori (fermi a 237 euro a giornata) e capi progetto (532 €/g). Lato consulenziale, se la cavano, invece, le tariffe medie per i consulenti master, stabili a 934 €/g, dopo il -6% del 2009.

In tal senso, sottolineando come nei primi otto mesi di quest'anno, il potere di acquisto di dirigenti e quadri sia «rimasto sostanzialmente invariato», è la stessa referente della realtà specializzata in servizi di consulenza direzionale e fornitore di strumenti per valorizzare le risorse umane, a ricordare come, «nel 2010, si sono registrati alcuni segnali di ripresa con un'attenzione forte, all'interno delle aziende, alle politiche retributive, che rimangono una leva importante per attrarre, trattenere e motivare le risorse al proprio interno».

Elementi di riflessione ai quali ci piace aggiungere un ulteriore aspetto, che riguarda il lato democratico dell'It, «ossia - osserva Cavasin - l'impatto coerente tra gli indicatori di performance e l'incidenza del variabile sulla retribuzione fissa». Un elemento estremamente indicativo di un settore, quello It, «che misurando in maniera oggettiva i propri Kpi, realizza una correlazione diretta tra risultati della performance aziendale individuale e variabile percepito». Ma il settore di cui parliamo, sarà bene ricordarlo, è lo stesso che, già ammalato dalla compressione delle tariffe, ha a che fare con la Pa.

«Continuando su questa strada - conclude Rapari - appare impossibile per le aziende del nostro settore pensare di attivare in maniera virtuosa né investimenti, né innovazioni di alcun tipo. In quest'ottica va letto il nostro tentativo di apertura di un tavolo congiunto con altre realtà associative, per arginare fenomeni come l'ultima trattativa a baste d'asta assegnata da Poste Italiane con un ribasso del 70%. Occorre unirsi per difendere un patrimonio di conoscenza e innovazione che, però, deve poter contare su un'appropriata infrastruttura e su misure di concerto per impedire che anche le aziende private adottino i tempi di pagamento del Pubblico».

Fonte:
http://www.01net.it/articoli/0,1254,5_ART_138312,00.html

venerdì 3 dicembre 2010

Italia, Giovani Bye Bye

I giovani sono pochi, saranno sempre meno, non ne attiriamo dall’estero, hanno
difficoltà a trovare lavoro e a fare carriera e non investiamo su di loro. Facciamo il
loro e il nostro male, ma tutto è fermo. Lo denuncia un rapporto di Manageritalia.
- Nel 2020 gli elettori over 50 supereranno gli under e i 20-39enni caleranno di 2,1 milioni
- Il rischio di disoccupazione nel periodo di crisi (2008-2009) tra i giovani (rapporto tra
disoccupazione giovanile e totale) è aumentato del 20% e più che in tutti gli altri paesi
europei
- Non è vero che i nostri giovani più istruiti fuggono dall’Italia, lo fanno nelle stesse
proporzioni degli altri giovani europei. È invece vero che noi non sappiamo attirare
giovani dall’estero e quindi il saldo tra giovani che escono e entrano è in Italia negativo –
1,2%, contro 5,5% della Germania e 20% degli USA
- Si diventa dirigenti a 40 anni
- Avere un padre laureato in Italia permette al figlio di guadagnare in media il 50% in più
rispetto a chi ha un genitore con titolo più basso
- Investiamo solo lo 0,6% nella protezione sociale dei giovani (disoccupazione e casa), contro
una media europea del 2,5%
- Spendiamo per le pensioni (15,5% del Pil) più della media EU (11,9%), mentre per il
sostegno al reddito in caso di disoccupazione solo lo 0,5% del Pil contro una media EU
dell’1,5%
- Spendiamo per l’istruzione il 4,8% del Pil, contro il 6,1% della media Ocse e i nostri
studenti di 15 anni sono tra i meno preparati d’Europa

fonte:
http://crisiesviluppo.manageritalia.it/wp-content/uploads/2010/11/Rapporto-Manageritalia_Italia-Giovani-bye-bye-novembre-2010_definitivo.pdf

mercoledì 20 ottobre 2010

Stipendi 2010-2011 dirigenti, impiegati, operai e professioni specializzati. Informatici e esperti IT i più difficili da trovare.

Quali sono gli stipendi per impiegati, dirigenti, professionisti? Giovani e non giovani? e laureati o solo diplomati?

La situazione del mercato del lavoro in Italia non è certo delle più rosee e a testimonianza di una situazione allarmante ci sono i numeri sul tasso di disoccupazione arrivato all'11% e occupazione, soprattutto giovanile, che registrano valori decisamente negativi.

Peggiore poi la situazione degli under 30, anche se laureati, anche se specializzati. Chi ha la fortuna di trovare un impiego, certo non può puntare al contratto a tempo indeterminato, nell’infinito del mondo dei contratti a tempo, aprogetto e a quota della retribuzione variabile.

Nel frattempo, scendono i redditi reali delle famiglie, anche se le retribuzioni individuali restano invariate per la flessione del prezzi. Se è vero che tra le assunzioni non stagionali cresce, rispetto all'anno scorso, il numero complessivo di contratti a tempo indeterminato (255 mila), quelli a termine crescono ancora di più e saranno in tutto 234 mila.

(continua sotto la comunicazione pubblicitaria)
Per quanto riguarda le retribuzioni, nel 2010 ( e le previsioni per il 2011 si mantengono pressocchè invariate ), secondo i dati, la retribuzione media ha sfiorato i 26mila euro, 500 euro in più del 2008; agli uomini sono andati in media 27.130 euro mentre alle donne solo 24.010 euro, confermando per l’ennesima volta una differenza di genere.

La differenza emerge anche tra le diverse zone territoriali del nostro Paese: al nord-ovest le retribuzioni medie sono state pari a 27.650 euro, al nord est 25.900 euro e al centro Italia 26.100 euro, mentre al sud lo stipendio si ferma a 23.390 euro. per quanto riguarda le categorie, nel 2009 i dirigenti hanno avuto una retribuzione media pari a 96 mila euro, gli operai specializzati 21.590 euro e tra i due dati si collocano le retribuzioni delle professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione con un paga lorda annua pari a 41.810 euro.

In una situazione come quella che oggi viviamo,è importante notare che tra le imprese che assumono, quelle che sono più interessate ai laureati, sono le aziende medie e grandi, dinamiche e innovatrici, per lo più situate al nord d'Italia.

Ma, nell’ambito delle figure ricercate, le più introvabili sono quelle degli informatici e dei professionisti IT con il 40% di ricerche che almeno secondo le stime risultano andate male.

Dopo gli informatici, le figure più richieste seguiti dagli specialisti nei rapporti con il mercato e ancora dagli ingegneri informatici. Difficili da trovare, infine, risultano anche i tecnici della vendita e della distribuzione, commessi e camerieri. Autore: Marianna Quatraro

Fonte:
http://www.businessonline.it/4/E-business/2754/Stipendi_2010-2011_dirigenti_impiegati_operai_e_professioni_specializzati_Informatici_e_esperti_IT_i_pi%C3%B9_difficili_da_trovare.html

giovedì 29 luglio 2010

Coop, manager-pentito svela gli stipendi d’oro

Caso Unipol, speculazioni, corsa al profitto: l’ex dirigente Mario Frau rende pubblici in un libro i segreti dell’organizzazione dove ha lavorato per 25 anni. I presidenti delle grandi sedi guadagnano fino a un milione l’anno e non vanno in pensione


Le coop sono organismi geneticamente modificati, centri di potere politico ed economico lontanissimi dai principi ispiratori, governati da una casta oligarchica slegata dai soci e alla ricerca del profitto a tutti i costi, al pari di una qualsiasi altra società. Non lo scrive Bernardo Caprotti, patron di Esselunga, in una riedizione di Falce e carrello ma un ex manager coop, Mario Frau, in un libro appena pubblicato dagli Editori Riuniti intitolato La coop non sei tu.

Frau ha lavorato nel movimento cooperativo per 25 anni, è stato consigliere delegato della piemontese Novacoop e membro della Direzione nazionale dell’Ancc, il massimo organo di governo del sistema. Nel 2006 ha dato le dimissioni, nauseato - spiega - da «una gestione troppo personalistica del presidente», da «operazioni immobiliari di stampo speculativo come la Spina 3 di Torino» e dall’assalto alla Bnl condotto dall’Unipol di Giovanni Consorte assieme ai «furbetti del quartierino».

Frau parla di contraddizioni, trasformazioni e degenerazioni avviate negli Anni ’80, gli anni degli spot con il Tenente Colombo, dei primi ipermercati e della finanziarizzazione del sistema. In origine, le coop garantivano ai soci servizi e prodotti a prezzi bassi e se chiudevano i bilanci in utile ne distribuivano loro una parte. Oggi invece questo «ristorno» è quasi inesistente (nel 2007 Coop Adriatica e Coop Estense hanno restituito lo 0,3 per cento del fatturato), gli utili vengono incamerati per aumentare il patrimonio e raramente i prezzi sono più bassi rispetto alla concorrenza.

Con il «prestito sociale», certifica Frau, nel 2009 le «nove sorelle» coop hanno raccolto 12 miliardi e 110 milioni di euro, una somma quasi pari al giro d’affari complessivo: l’attività finanziaria ha raggiunto quella della distribuzione alimentare. I supermercati sono filiali di una banca mai autorizzata da Bankitalia, sottratta ai relativi controlli e soggetta a un regime fiscale di favore, con investimenti in prodotti finanziari e partecipazioni in società del sistema Legacoop. La cosiddetta tutela del risparmio è in realtà un’attività finanziaria a fini di lucro, che distribuisce briciole ai soci e determina un sistema di concorrenza sleale verso le banche e le altre catene distributive, le quali per crescere devono indebitarsi a costi largamente superiori.

«Lo spirito di solidarietà e mutualità è stato sacrificato per sposare la logica del mercato, della competizione e del profitto alla pari delle imprese di capitale - dice Frau - con la differenza che queste ultime pagano le tasse sul 100 per cento degli utili, mentre le coop soltanto sul 55 per cento. Nonostante la Costituzioni tuteli la «funzione sociale» e il «carattere di mutualità e senza fine di speculazione privata», le coop non svolgono più da tempo tali funzioni avendo scelto di operare sul mercato inseguendo il profitto e la speculazione in tutti i campi dell’economia: dalle assicurazioni (Unipol e Aurora) alla grande distribuzione (marchi Coop e Conad), dal settore immobiliare e abitativo a quello delle grandi opere infrastrutturali, fino alla raccolta del risparmio su vasta scala».

Il collateralismo con Pci-Psi-Pds-Ds con le annesse corsie preferenziali nell’ottenere le autorizzazioni ha garantito privilegi e creato una distorsione del mercato, «muri antistorici» e «barriere all’entrata». Collateralismo politico, riduzione dei benefici per i soci, vantaggi fiscali, raccolta del risparmio, regole interne che blindano contro qualsiasi ipotesi di scalata: ecco i pilastri che hanno consentito alle coop di occupare grandi spazi commerciali, sfruttando sia i vantaggi dell’economia di mercato sia quelli esclusivi delle società cooperative.

A ciò si aggiunge la casta degli intoccabili formata dai manager, con relativi stipendi: i presidenti delle grandi coop stanno nella fascia tra i 500mila e il milione di euro annuali, più i bonus che loro stessi si sono attribuiti come indennità di uscita. Anche se, invece di andare in pensione, spesso restano alla guida di società minori che assicurano gettoni e benefit vari.

fonte:

http://www.ilgiornale.it/interni/coop_manager-pentito_svela_stipendi_doro/28-07-2010/articolo-id=463811-page=1-comments=1


giovedì 1 luglio 2010

Stipendi RAI 2009

Ecco gli stipendi RAI del 2009 pubblicati da l'espresso:
Conduttore Programma Compenso lordo
Fabio Fazio Che tempo che fa 2.000.000 €
Antonella Clerici La prova del cuoco * 1.500.000 €
Carlo Conti L’eredità * 1.300.000 €
Bruno Vespa Porta a porta 1.200.000 €
Pippo Baudo Domenica In 900.000 €
Simona Ventura Quelli che il calcio * 900.000 €
Michele Santoro AnnoZero 715.000 €
Serena Dandini Parla con me 700.000 €
Giovanni Minoli La storia siamo noi * 550.000 €
Giovanni Floris Ballarò 450.000 €
Massimo Giletti Miss Italia * 400.000 €
Pupo I raccomandati * 400.000 €
Monica Setta Il fatto del giorno 200.000 €
Milena Gabanelli Report 150.000 €

* Hanno condotto anche altri programmi

Da segnalare che l’onnipresente Emanuele Filiberto di Savoia si “becca” 20 mila euro ad ogni “comparsa”. Il presidente Paolo Garimberti prende 448 mila euro all’anno, mentre il direttore generale Mauro Masi arriva a 715 mila euro.

fonte:

http://maxsomagazine.blogspot.com/2010/06/lespresso-pubblica-gli-stipendi-rai.html

mercoledì 7 aprile 2010

Stipendi manager 2010 italiani: la classifica. I settori dove si guadagna di più.

E' Carlo Puri Negri ex vicepresidente esecutivo di Pirelli Re il manager più pagato. La classifica

a cura della Redazione

Manager sempre, e ancora di più al top. Dopo il terribile anno della crisi finanziaria che ha colpito anche i più possidenti, alcune figure hanno resistito e confermato il loro ruolo dirigenziale e patrimonio milionario nelle società che guidano.

Loro sono presidenti e top manager con compensi da capogiro e che, nonostante la bufera economica subita e qualche piccola perdita, sono rimasti ben saldi nel mondo dorato dei paperoni. Secondo la classifica stilata, le prime posizione per stipendi più alti spettano a Carlo Puri Negri (ex vicepresidente esecutivo di Pirelli Re) con 14 milioni di euro, Claudio De Conto (ex direttore generale di Pirelli) con 7,3 milioni e Marco Tronchetti Provera (presidente di Pirelli) con 5,6 milioni. Sono loro i manager più pagati di Piazza Affari nel 2009.

Se si considerano le società a maggiore capitalizzazione e ai loro presidenti e amministratori delegati, la prima posizione spetta a Luca Cordero di Montezemolo, presidente Fiat (e Ferrari) con 5.177.000 euro, segue Sergio Marchionne, ad Fiat, a quota 4.782.000 euro, e terzo si piazza Pier Francesco Guarguaglini, numero uno di Finmeccanica, con 4.712.000 euro.

Stipendi da paperoni spiccano anche allontanandoci dalle posizioni del podio, basti pensare all’amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo, con 4,3 milioni contro i 3,5 milioni del 2008, a Paolo Scaroni, capo Eni, con quasi 4,3 milioni rispetto ai 3,1 milioni del 2008, a Corrado Passera, consigliere delegato di Intesa, con 3,8 milioni, e Fedele Confalonieri di Mediaset con 3,5 milioni.

Autore:

Marianna Quatraro


Fonte:

http://www.businessonline.it/news/10306/Stipendi-manager-2010-italiani-la-classifica-I-settori-dove-si-guadagna-di-piu.html

domenica 4 aprile 2010

Stipendi medi in Italia

Stipendi medi tra i più bassi d'Europa. Cuneo fiscale molto elevato. Questa in sintesi la situazione lavorativa italiana per l'anno in corso, secondo un rapporto redatto dall'Eurispes.
Il 'Rapporto Italia 2010', un'analisi sullo stato della politica, dell'economia e della società italiana, redatto dall'Eurispes, come avviene ogni anno, mostra la situazione italiana degli stipendi lavorativi.
Nella classifica Ocse, si collocano tra i primi dieci: Corea del Sud (39.931 dollari), Regno Unito (38.147), Svizzera (36.063), Lussemburgo (36.035), Giappone (34.445), Norvegia (33.413), Australia (31.762), Irlanda (31.337), Paesi Bassi (30.796) e Usa (30.774).
Mentre l'Italia, con 21.374 dollari (poco più di 14.700 €), occupa la ventitreesima posizione, collocandosi dopo quegli altri paesi europei con retribuzioni nette annue che si aggirano in media intorno ai 25mila dollari, tra i quali: Germania (29.570), Francia (26.010), Spagna (24.632).
L'Italia supera solo: Portogallo (19.150), Repubblica Ceca (14.540), Turchia (13.849), Polonia (13.010), Slovacchia (11.716), Ungheria (10.332) e Messico (9.716).
Volendo fare un paragone con gli altri cittadini europei, il lavoratore italiano percepisce un compenso salariale che è inferiore del 44% rispetto al dipendente inglese, guadagna il 32% in meno di quello irlandese, il 28% in meno di un tedesco, il 19% in meno di un greco, il 18% in meno del cittadino francese e il 14% in meno di quello spagnolo.
I lavoratori italiani incassano dunque ogni anno retribuzioni medie tra le più basse dei paesi industrializzati, mediamente il 17% in meno della media Ocse, il cui valore è pari a 25.739 dollari.
Se invece come termine di paragone viene assunta l'Europa a 15 (27.793 dollari annui di media), lo stipendio italiano è inferiore del 23% o nell'Europa a 19 (mediamente 24.552 dollari annui), il compenso medio annuo del lavoratore italiano è minore del 13%.
Per quanto riguarda invece il discorso del cuneo fiscale, assumendo come parametro un lavoratore dal salario medio single e senza figli, il peso del cuneo fiscale è pari al 46,5% (lo 0,25% in più rispetto al 2007 e l'1,1% in più rispetto al 2005)), che determina la 'sesta posizione del nostro Paese tra i 30 paesi Ocse'.
Se invece di un lavoratore single e senza figli si prende come punto di riferimento la figura-tipo di un lavoratore dal salario medio sposato e con due figli, il carico del cuneo fiscale 'si riduce, continuando comunque a mantenere un valore elevato' (36%), facendo scendere l'Italia all'undicesimo posto in classifica.
In parole povere, spiega l'Eurispes, il lavoratore italiano percepisce un compenso salariale 'pari a quasi la metà del costo effettivamente sborsato dal datore di lavoro per la sua prestazione professionale, a causa dell'eccessivo costo del lavoro'.
Una situazione veramente difficile ed imbarazzante, che costringe milioni di italiani a faticare per arrivare alla fine del mese.

Fonte:
http://www.businessonline.it/3/LavoroeFisco/2698/rapporto-italia-eurispes-2010-la-situazione-salariale.html

lunedì 15 marzo 2010

Redditi dichiarati al fisco nel 2008 in Italia

Tabella 3 - Redditi dichiarati al fisco nel 2008
(dati in migliaia di euro)
Categorie di contribuenti
Reddito medio dichiarato
Notai
404,8
Farmacisti
126,1
Dirigenti
105,5
Avvocati
49,1
Dentisti
45,1
Tabaccai
43,5
Ingegneri
37,4
Architetti
26,3
Consulenti fiscali
24
Geometri
23,9
Agenti immobiliari
22,7
Albergatori
21,1
Agronomi
21
Giornalai
20
Concessionari automobili
19,2
Psicologi
17,1
Ristoratori e bar
16,4
Gioiellieri e orologiai
15,8
Meccanici
15,4
Tassisti
13,6
Parrucchieri e barbieri
10,4
Media (totale contribuenti)
18,9
Fonte: Elaborazioni e stime Manageritalia su dati Agenzia delle entrate (Banca dati studi di settore)

domenica 14 marzo 2010

Informatica 2010 in Italia sarà negativa secondo Assinform. Nuovi disoccupati e aziende in crisi..

Oggi a Milano sono stati presentati i dati di anticipazione del Rapporto Assinform 2010, che fotografano nel nostro Paese un settore IT fortemente penalizzato dalla crisi.

Paolo Angelucci, Presidente di Assinform, ha definito il 2009 'annus horribilis' per il mercato mondiale dell'Ict. Il disinvestimento italiano in Information Technology, pari a 1.657 milioni di euro, è un segnale allarmante di arretramento del Paese verso assetti strutturali di basso profilo competitivo, che rischiano di condannarci alla stagnazione.

Lo scorso anno abbiamo segnato un passo indietro del -8.1%, mentre per il finire dell'attuale l'Italia è destinata a segnare un -3.1%.

Sono, infatti, arretrati tutti i parametri del mercato: hardware (-14,8%), software (- 3,6%), servizi (- 6,5%); grandi imprese (-10,3%), medie (- 7,3%), piccole (-8,0%).

L'impatto economico e occupazionale dell'IT, nonché le sue potenzialità nei processi di sviluppo del Paese sono largamente sottovalutati dalle istituzioni.

Eppure, per uscire dalla crisi e aprire la strada della crescita, l'Italia non ha scelta, deve riprendere a investire in Information Technology.

Per questo occorre un'azione che sia un segnale chiaro di inversione di tendenza, anticipatore di una politica strategica per l'innovazione e lo sviluppo.

Come nel mercato automobilistico, anche nel settore software si dovrebbe pensare a degli incentivi per la rottamazione. Anche per il fatto che gli incentivi nel settore IT sono due volte e mezzo più efficaci di quelli fatti nel mercato delle auto.

I software applicativi, infatti, sono fattori cruciali per la modernizzazione delle imprese, dell'economia, della PA e costituiscono il cuore del valore aggiunto prodotto dal settore in Italia.

Per quanto riguarda le aziende invece, si confermano, purtroppo, le previsioni negative sull'andamento occupazionale. Il 65% delle aziende conferma i livelli dei dipendenti dello scorso anno; il 27% pensa ad un miglioramento e l'8% circa prevede dei tagli.

Il calo maggiore è previsto per i consulenti delle grandi imprese, delle quali ben il 54,5% ha dichiarato di utilizzare meno forza lavoro esterna, molto spesso purtroppo formata da dipendenti di medie e piccole imprese della filiera.

Sul fronte delle telecomunicazioni la situazione non migliora affatto: per la prima volta da tre lustri a questa parte il mercato della telefonia mobile segna una contrazione nella sua crescita pari a -1,5%.

Durante la conferenza Angelucci ha infine annunciato alcune importanti iniziative di Assinform.

Un argomento che preme molto è la tendenza tutta italiana di abbassare le tariffe professionali, trascurando la qualità. Tutto ciò mortifica gli investimenti in capitale umano delle imprese IT, che rappresenta ben il 26% dei ricavi aziendali, mentre penalizza i clienti e la qualità dei loro progetti e servizi.

Inoltre stiamo per concludere un primo accordo innovativo con un importante istituto bancario che prevede finanziamenti a medio termine per le aziende che investono in IT comprendendo, per la prima volta, anche le componenti immateriali (software e servizi) .


Fonte:

http://www.businessonline.it/3/LavoroeFisco/2708/rapporto-assinform-mercato-it-2010-italia.html


martedì 23 febbraio 2010

Salario

Da wikipedia:
http://it.wikipedia.org/wiki/Stipendio

Il salario è il compenso (retribuzione) ricevuto da un lavoratore dipendente per le proprie prestazioni professionali. L'etimologia del termine si rifà all'antica Roma, dove i soldati delle legioni venivano pagati in sale.

In macroeconomia, si definisce salario reale o potere di acquisto (dei salari) il rapporto w / p, nel quale w (inglese "work") indica il fattore lavoro (su base oraria, di euro/mese, ecc.) e p è un indice dei prezzi, detto deflatore, che depura una grandezza economica dagli effetti dell'inflazione.

L'indicatore dei prezzi si calcola come media pesata di un paniere di beni e servizi: per la coerenza della misura è fondamentale che il paniere preso in considerazione sia costante nel tempo, che sia rappresentativo dei consumi della famiglia italiana media (due lavoratori con due figli a carico), e che i prezzi su cui si effettua il calcolo siano misurati nello stesso periodo di riferimento. I prezzi vengono pesati sulla quantità, moltiplicandoli per un coefficiente che è la quantità venduta di ognuno in percentuale al totale.

Il punto di vista (neo)classico

Secondo gli economisti di orientamento classico, il salario è la retribuzione del fattore della produzione lavoro e la sua entità dipende dal costo-opportunità per il lavoratore della rinuncia ad altre occupazioni (incluso l'ozio) durante il periodo impiegato per svolgere la propria mansione. Secondo questa teoria, la determinazione del salario secondo la legge della domanda e dell'offerta permette anche a questo fattore della produzione di assestare il suo prezzo al valore ottimale. Da questo punto di vista, le lotte sindacali sono una forma di collusione che influenza la determinazione dei prezzi allontanandoli dall' optimum. Adam Smith nella "Ricchezza delle nazioni" criticò ripetutamente le corporazioni e gli ordini professionali come un ostacolo all'efficienza del libero mercato e all'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro.

Il punto di vista marxista

In contrasto con la precedente visione, secondo gli economisti di orientamento marxista, il salario è il prezzo della forza lavoro. Il lavoro, infatti, secondo Marx è il consumo della forza lavoro, mentre è la forza lavoro, perlomeno nel capitalismo, a costituire una merce e in quanto tale scambiata sul mercato secondo il suo valore di scambio. Come tutte le merci (v. Teoria marxiana del valore), dunque, la forza lavoro viene venduta approssimativamente ad un valore equivalente al lavoro socialmente necessario per la sua produzione; ma il costo di produzione della forza lavoro è il "costo di produzione" di un operaio in grado di lavorare e disposto a farlo, quindi in sostanza (se non esistessero le lotte ne Il capitale). Questo spiega, secondo Marx, l'origine del profitto del capitalista: secondo la teoria del plusvalore, infatti, il valore della forza lavoro impiegata nella produzione (cioè approssimativamente il salario) è inferiore al valore aggiunto alla merce prodotta (che è pari al lavoro impiegato); la differenza fra forza lavoro e lavoro è quindi alla base della teoria marxista del profitto e sfruttamento.

giovedì 4 febbraio 2010

Stipendi medi in Italia e confronto con l'Europa. La laurea non è garanzia di un migliori impiego e maggior remunerazione.

Stipendi medi tra i più bassi d'Europa. Cuneo fiscale molto elevato. Questa in sintesi la situazione lavorativa italiana per l'anno in corso, secondo un rapporto redatto dall'Eurispes.


Il 'Rapporto Italia 2010', un'analisi sullo stato della politica, dell'economia e della società italiana, redatto dall'Eurispes, come avviene ogni anno, mostra la situazione italiana degli stipendi lavorativi.

Nella classifica Ocse, si collocano tra i primi dieci: Corea del Sud (39.931 dollari), Regno Unito (38.147), Svizzera (36.063), Lussemburgo (36.035), Giappone (34.445), Norvegia (33.413), Australia (31.762), Irlanda (31.337), Paesi Bassi (30.796) e Usa (30.774).

Mentre l'Italia, con 21.374 dollari (poco più di 14.700 €), occupa la ventitreesima posizione, collocandosi dopo quegli altri paesi europei con retribuzioni nette annue che si aggirano in media intorno ai 25mila dollari, tra i quali: Germania (29.570), Francia (26.010), Spagna (24.632).

L'Italia supera solo: Portogallo (19.150), Repubblica Ceca (14.540), Turchia (13.849), Polonia (13.010), Slovacchia (11.716), Ungheria (10.332) e Messico (9.716).

Volendo fare un paragone con gli altri cittadini europei, il lavoratore italiano percepisce un compenso salariale che è inferiore del 44% rispetto al dipendente inglese, guadagna il 32% in meno di quello irlandese, il 28% in meno di un tedesco, il 19% in meno di un greco, il 18% in meno del cittadino francese e il 14% in meno di quello spagnolo.

I lavoratori italiani incassano dunque ogni anno retribuzioni medie tra le più basse dei paesi industrializzati, mediamente il 17% in meno della media Ocse, il cui valore è pari a 25.739 dollari.

Se invece come termine di paragone viene assunta l'Europa a 15 (27.793 dollari annui di media), lo stipendio italiano è inferiore del 23% o nell'Europa a 19 (mediamente 24.552 dollari annui), il compenso medio annuo del lavoratore italiano è minore del 13%.

Per quanto riguarda invece il discorso del cuneo fiscale, assumendo come parametro un lavoratore dal salario medio single e senza figli, il peso del cuneo fiscale è pari al 46,5% (lo 0,25% in più rispetto al 2007 e l'1,1% in più rispetto al 2005)), che determina la 'sesta posizione del nostro Paese tra i 30 paesi Ocse'.

Se invece di un lavoratore single e senza figli si prende come punto di riferimento la figura-tipo di un lavoratore dal salario medio sposato e con due figli, il carico del cuneo fiscale 'si riduce, continuando comunque a mantenere un valore elevato' (36%), facendo scendere l'Italia all'undicesimo posto in classifica.

In parole povere, spiega l'Eurispes, il lavoratore italiano percepisce un compenso salariale 'pari a quasi la metà del costo effettivamente sborsato dal datore di lavoro per la sua prestazione professionale, a causa dell'eccessivo costo del lavoro'.

Una situazione veramente difficile ed imbarazzante, che costringe milioni di italiani a faticare per arrivare alla fine del mese.


Fonte:

http://www.businessonline.it/3/LavoroeFisco/2698/Stipendi_medi_in_Italia_e_confronto_con_l%27Europa_La_laurea_non_%C3%A8_garanzia_di_un_migliori_impiego_e_maggior_remunerazione.html

Per gentile concessione di AprileOnline.info

martedì 2 febbraio 2010

Nel 2009 retribuzioni in salita. Ma gli stipendi sono tra i più bassi dell’Ocse

Buste paga italiane un po’ più pesanti nel 2009, grazie al blocco dell’inflazione. Ma sempre più leggere di quelle della maggioranza dei paesi industrializzati riuniti nell’Ocse. Vediamo i dati nel dettaglio: l’Istat, per l’anno appena trascorso, rivela che c’è stato un aumento tendenziale medio del 3% delle retribuzioni, con un tasso d’inflazione largamente inferiore, dello 0.8%.
Il che si traduce in un maggiore potere d’acquisto per gli italiani. Ma se andiamo a vedere il dato degli aumenti nel 2008, si nota che prima della crisi le retribuzioni erano aumentate del 3,5%, quindi mezzo punto in più che nel 2009, a fronte però di un’inflazione molto maggiore. Per quanto riguarda i vari settori, le retribuzioni sono cresciute su base annua dell’1,6% in agricoltura, del 3,6% nell’industria, del 2,2% nei servizi e del 2,6% nella pubblica amministrazione.
In un periodo di crisi generale un aumento delle retribuzioni medie è certo un dato positivo, ma non basta a far ben figurare l’Italia nel gruppo dei trenta paesi più industrializzati del mondo, l’Ocse.
Secondo le ultime classifiche siamo infatti al ventitreesimo posto quanto a stipendi medi. Davanti solo alla Repubblica Ceca, l’Ungheria, il Messico, la Nuova Zelanda, la Polonia, il Portogallo, la Slovacchia e la Turchia. E ben dietro alla maggioranza dei paesi Ue: i salari lordi sono in media inferiori del 32% rispetto all’area Euro. E a questo dato si aggiunge il peso non indifferente di tasse e contributi sociali. Il risultato? “Con un salario medio netto annuo che ammonta a 21.374 dollari, pari a poco più di 14.700 euro” si legge nell’ultimo rapporto dell’Eurispes, “il lavoratore italiano percepisce un compenso salariale che è inferiore del 44% rispetto al dipendente inglese, del 32% in meno di quello irlandese, il 28% in meno di un tedesco, il 19% in meno di un greco, il 18% in meno del cittadino francese e il 14% in meno di quello spagnolo”.

Fonte:
http://blog.panorama.it/economia/2010/02/01/nel-2009-retribuzioni-in-salita-ma-gli-stipendi-sono-tra-i-piu-bassi-dellocse/

martedì 5 gennaio 2010

Gli stipendi lordi degli italiani del 2008 sotto la media Ue del 32,3%

— Non è solo un problema di tasse. È vero che l’imposizione fiscale fa del suo meglio, ma se le buste paga degli italiani, che nel 2008 secondo i dati anticipati dal Corriere della Sera, hanno denunciato un reddito medio di 19.100 euro, sono tra le più basse in Europa e tra i Paesi industrializzati, è colpa anche dei salari lordi troppo bassi e dei contributi sociali molto alti che gravano sui lavoratori e sulle imprese. E un po’ anche dell’università che in Italia, a differenza di moltissimi altri Paesi, non rappresenta un investimento redditizio per ottenere salari più alti nella carriera lavorativa.
Secondo le ultime classifiche dell’Ocse gli stipendi netti degli italiani sono al ventitreesimo posto nella classifica dei trenta Paesi più industrializzati che aderiscono all’organizzazione. E se si considera lo stipendio al lordo delle ritenute fiscali e dei contributi, la nostra classifica migliora solo di una posizione. A parità di potere d’acquisto, lo stipendio di un lavoratore italiano single senza figli è pari a 30.245 dollari, e nella graduatoria Ocse siamo davanti solo alla Repubblica Ceca, l’Ungheria, il Messico, la Nuova Zelanda, la Polonia, il Portogallo, la Slovacchia e la Turchia. E nella classifica che considera il salario netto, pari per un italiano a 21.374 dollari, ci supera pure la Nuova Zelanda. La nostra distanza dalla testa della classifica, che vede al primo posto per il salario netto la Corea (39.931 dollari), seguita da Regno Unito (38.147) e dalla Svizzera (36.063), è siderale. Ma siamo molto lontani anche dalla Germania (29.570 dollari) e dalla Francia (poco più di 26 mila).
Per farla breve, basti considerare che i salari lordi italiani sono più bassi del 32,3% rispetto alla media dell’Europa a quindici. Naturalmente, siamo ben sotto la media dei 30 Paesi Ocse, con un 16% per cento abbondante in meno. Le differenze del salario tra gli italiani e i loro concittadini europei appaiono ancor più macroscopiche se si considerano i valori assoluti degli stipendi: 26.191 euro lordi per un lavoratore medio italiano, 32.826 per un francese, 43.942 per un tedesco e poco meno per un olandese. Solo spagnoli, greci e portoghesi, ma senza considerare l’inflazione, le tasse ed i carichi sociali previdenziali, sono dietro. E il peggio è che con il tempo, da noi, le cose stanno peggiorando.

Fonte:
http://www.corriere.it/economia/10_gennaio_04/redditi_6f4e8b70-f903-11de-9441-00144f02aabe.shtml